Ogni cosa che sperimentiamo, che c’è o presumiamo ci sia, viene filtrata attraverso il nostro particolare sentire, a questo comune principio sembra però sfuggire la questione del tempo per la cui lettura si rinvia a strumenti di misurazione oggettiva.
Ma quando diciamo che il tempo scorre veloce piuttosto che lento, cosa intendiamo? Non è forse questa una contraddizione?
Il tempo percepito è estraneo, è un elemento rarefatto e sfuggente al discorso, il tempo che viviamo oggi non è certo il tempo a “modo mio”.
La questione del tempo non la si vuole vivere come un fatto personale ma viene approcciata con atteggiamento scientifico.
L’idea che abbiamo del tempo, quando lo nominiamo, è quella di una categoria esterna, persino ostile, che si dilata, si restringe, è agita o forse agisce in ogni direzione e noi trascinati con lei.
Sempre affannati nel vano tentativo di essere abbastanza veloci per starci dentro.
Ma veloci quanto? E dentro cosa?
La Questione del Tempo
Il tempo è stato uno dei grandi temi filosofici fin dai giorni di Anassimandro.
Il filosofo presocratico che ha individuato nell’idea di infinito il principio di tutte le cose.
Questo pensatore affrontò la questione del tempo pensandolo come figura archetipica della giustizia.
Una sorta di pegno dovuto da tutti gli enti, soggetti e oggetti, per il semplice fatto di essere pres-enti.
“Se ci sei devi sapere che il posto che occupi non sarà tuo per sempre, ad un certo momento dovrai lasciare il gioco”.
Insomma, la questione del tempo diventa una questione di giustizia cosmica.
Qualche tempo più tardi, Aristotele definiva il tempo come “il numero del movimento secondo il prima e il poi”.
Un pioneristico mix tra astrazione numerica e soggetto numerante, che si avvale di memoria e osservazione empirica per dire: “prima era così, ora è cosà”.
In seguito, Agostino inaugurava il filone psicologistico del tempo.
La sua argomentazione in proposito è chiara: se il futuro non esiste ancora, il passato non esiste più e il presente, per conto suo, se esistesse davvero sarebbe eterno, allora il tempo non può avere esistenza oggettiva.
Ne deriva che l’uomo, non essendo in grado di cogliere il tutto nella sua interezza al pari di un Dio, vi accede in modo frammentario.
Divide quindi l’esperienza in tre parti: la memoria del passato, l’aspettativa del futuro e la percezione del presente.
Il tempo, perciò, non è altro che il concetto limite dell’uomo rispetto al tutto dell’esistenza
Il Tempo: una Questione ancora Irrisolta
Il tempo è ancora oggi una delle grandi questioni filosofiche e non solo, forse una delle più sfidanti.
Si tratta di un paradigma attorno al quale ruotano tutte le attività e le relazioni delle società più avanzate.
E se il progresso scientifico tanto ha potuto sullo spazio, poco o forse nulla ha inciso sul tempo.
Sì, sento già le voci della protesta sollevarsi: “Con il digitale viaggiamo a velocità incredibili inviando dati, documenti e immagini in un battito di ciglia”.
Niente da obiettare. Ma stiamo sempre parlando di veicolare qualcosa da un posto ad un altro.
Vero è pure che ci spostiamo in fretta, anche fisicamente, in lungo e in largo, in alto e in basso, in ogni parte del globo,
in ogni parte,
parte, appunto,
… questo si chiama spazio!
L’idea di calcolare il tempo spazialmente è rimasta la stessa da quando l’uomo ha inventato la meridiana.
Uno strumento che sfrutta la possibilità di misurare l’ombra delle cose riflesse alla luce del sole, per fissare dei punti di riferimento sui quali organizzare l’esercizio della quotidianità.
Punti, quindi di nuovo spazio!
Da questi riferimenti spaziali discendono delle convenzioni comuni chiamate ore, giorni, anni che si traducono in appuntamenti, ricorrenze, storie di vita.
Una astrazione che vorrebbe scandire il ritmo delle nostre personali narrazioni, delle nostre biografie.
Il tempo spazializzato rimane contenitore invisibile, vuota presenza da colmare freneticamente.
La questione del tempo è di nuovo destinata all’archivio delle pratiche irrisolte.
Ma esiste il tempo? E, se esiste, c’è per il sentire comune una misura esclusivamente temporale?
La Misura Temporale
Quando alludiamo al tempo attingiamo per lo più, come già è stato detto, all’area semantica dello spazio, con espressioni quali “dimensione temporale”, “arco temporale”, “linea del tempo”;
oppure ci rifacciamo all’area semantica dell’economia: “risparmiare tempo”, “sprecare tempo”, “spendere tempo”, “impiegare/investire/accumulare tempo”.
Con questa idea quantitativa e misurabile del tempo, viene declinata anche la nostra efficienza e rapidità nel portare a termine ogni compito, come se essere veloci equivalesse a un disavanzo di tempo.
Il Tempo Risparmiato
Dove si accumula allora tutto questo tempo risparmiato e come possiamo attingervi per poterne fruire?
Fateci caso: tutto quello che nello svolgimento di una qualsiasi attività nel passato richiedeva una giornata intera, oggi, grazie alla tecnologia, lo possiamo fare in poche ore, a volte persino in una manciata di minuti.
E nel resto della giornata, ci sentiamo forse in diritto di dedicarci a nuove esperienze, di inoltrarci in territori sconosciuti, di ricercare nuove opportunità?
Probabilmente no. Ciò che rimane del giorno lo occupiamo per lo più galleggiando nella routine.
Persino rimanendo sul posto di lavoro, dove si evadono compiti eccedenti a colmare l’ipotetico arco temporale “risparmiato”, man mano che esso si affaccia all’orizzonte del tic-tac.
Con l’aggravante che i mezzi digitali (praticamente l’ufficio pret a porter) li teniamo sempre con noi, a portata di click.
On-work h24.
Potrebbe sorgere il sospetto che il tempo non fruito vada a vantaggio di qualcun altro e in tal caso Anassimandro sarebbe senz’altro messo a dura prova vedendo inficiata la sua teoria.
Facciamo un altro esempio: vi è mai capitato di arrivare prima ad un appuntamento?
Come avete vissuto il vostro “vantaggio”? Probabilmente aspettando impazienti l’arrivo della persona che dovevate incontrare.
Allo stesso modo, se finiamo in anticipo una qualsiasi attività non ci è dato di sapere che si allunghi la nostra esistenza.
Quale sarebbe mai, quindi, il nostro premio?
Non abbiamo ancora a disposizione un modo per accumulare il tempo, conservarlo, tenerlo in stand-by.
Il Tempo delle Opportunità
Una cosa però si può fare: provare a vivere il tempo in modo soddisfacente, pieno ed equilibrato.
Smettiamola di misurare il tempo come se fosse davvero un’oggetto esteriore e materico o un sistema dispotico cui sottomettersi.
Mi piace pensare che il tempo, come teorizzava Agostino, è la cosa più personale e soggettiva di cui possiamo fare esperienza.
Il tempo è l’aspettativa, il desiderio, la memoria, la noia, la frustrazione, la malattia dell’anima, la gioia di vivere, la fantasia, i progetti per il futuro, la paura di morire e tanto altro ancora.
Il tempo è la cifra qualitativa e valoriale della nostra storia quando segue il ritmo interiore.
Se siamo passivamente ingaggiati a vivere la vita, compressa e frammentata in ritagli cronologici, quella ci scivola come sabbia tra le mani.
Possiamo continuare a computare il tempo illudendoci di essere “sul pezzo” e ben sintonizzati con la realtà o, per meglio dire, sincronizzati con le regole convenzionali.
Oppure ancora possiamo scartare di lato il tic-tac e dare a questo piccolo atto rivoluzionario la cifra di una sempre rinnovata opportunità.
Una metamorfosi infinita per cui il tempo è la varietà che assumono le nostre forme del vivere, la tavolozza dove stemperiamo i nostri colori.
Kairos
Gli antichi greci conoscevano bene queste atmosfere foriere di sentieri inesplorati che conducono alla creazione artistica, alla fioritura personale, alla vita piena e persino alle azioni che portano al gesto eroico da cui discende la gloria.
Questo tempo era chiamato Kairos, volendo con questo termine indicare la coincidenza della scelta deliberata con la visione di una opportunità.
L’attimo propizio che si schiude a chi si sofferma a leggere i segni e crea il futuro perché lo immagina e lo agisce mettendolo in scena.
A chi ancora si improvvisa pioniere di una nuova rotta senza troppi strumenti di misurazione, seguendo la navigazione a vista e l’etica del viandante.
Kairos è l’improvvisazione dell’atto più fecondo deliberata nel momento opportuno.
Quel tempo che diventa nostro ogni volta che decidiamo di scegliere e fare ciò che altrimenti non si potrebbe dire.
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Autore: Annarosa Antonello
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