Tra manifestazioni artistiche e innovazioni tecnologiche la società contemporanea rivela una inconsapevole celebrazione della dimensione fobica.
Per dimensione fobica si vuole qui alludere alla trasposizione ideale e materica, nell’ambiente, di fobie interiorizzate.
Quelle produzioni che lo storico dell’arte tedesco Wiehlm Worringer aveva individuato come riferimenti dell’angoscia spirituale dello spazio[1].
Esseri umani e ambiente
L’uomo costruisce il proprio habitat mosso da emozioni, bisogni, desideri.
Il risultato di questa opera agisce profondamente sulle coordinate dell’esistenza, modifica gli spazi d’azione e di relazione tra esseri umani e ambiente.
È una alleanza necessaria, atavica e di interdipendenza: ogni vibrazione processata da una parte o dall’altra del binomio produce feedback irreversibili.
Da queste risposte principiano esperienze che suggeriscono visioni di mondo e stili narrativi, ispirano costrutti culturali e predispongono le trame della realtà.
Filtrata da modelli, interpretazioni e linguaggi, la realtà si fa storia, una storia che a volte sfugge di mano…
Progresso
Ogni nuovo capitolo di questa narrazione si conviene di chiamarlo progresso.
Un processo che vede coinvolti uomini e ambiente dove l’uno costruisce l’altro e quest’ultimo, esperito e integrato nelle sue continue evoluzioni, torna a essere motivo di ulteriore ispirazione e trasformazione sociale.
Ma di quale progresso stiamo parlando?
L’umanità ha conosciuto due tipi di progresso:
- uno ispirato alla meraviglia della natura e processato come celebrazione sociale della potenza, della bellezza e dell’armonia;
- uno condizionato dalla paura e dalla lotta per la sopravvivenza, reificato in barriere di difesa, linee di confine, leggi coercitive e norme comportamentali.
I due modelli hanno influenzato stili di vita e di socializzazione agli antipodi che vanno dal paradigma aristotelico dell’uomo animale politico all’assunto hobbesiano dell’homo homini lupus[2]
L’adozione reiterata del secondo paradigma ha dato vita a paesaggi radicati sulla paura e sul bisogno di sicurezza.
Due argomenti utilizzati come strumenti di consenso, coesione/separazione sociale, facili monete di scambio nei giochi di potere.
La Paura e il Suo Riflesso
La frenetica produzione di misure cautelative, adottate quali rimedi alla paura, trova larghi consensi e diventa unico modus operandi.
Tutto ciò che ne discende è, per converso, simbolo e riflesso di una ragione agita da stati emotivi collettivi e virali.
L’armatura, quale che sia il sacrificio dovuto per ottenerla, stimola un sentimento di conforto di fronte al pericolo.
Quando quest’ultimo viene a mancare la protezione si tramuta in tensione ansiogena trovando la sua unica giustificazione di utilizzo nella vuota presenza della minaccia.
Scenari Apocalittici
La nostra storia più recente è puntualmente segnata da un movimento ondivago, un susseguirsi di eventi traumatici, produzione di meccanismi difensivi e derive fobiche.
Un esempio paradigmatico: il bombardamento di Hiroshima e Nagasaky, una delle pagine più tragiche del nostro passato.
Negli anni che seguirono agli attacchi nucleari viene delineandosi nell’immaginario collettivo la fine imminente dell’umanità.
Scenari apocalittici vengono evocati dalle terribili testimonianze provenienti dalle aree in cui si era consumata la tragedia.
La loro strumentalizzazione, da parte di media e organi di potere, porta ad una esasperazione del livello ansiogeno.
Anziché convergere nell’elaborazione del lutto e chiudere un triste capitolo del passato, la collettività percepisce e metabolizza il dramma come un potenziale pericolo:
un frammento di esperienza futura necessaria e ineludibile.
La spinta a ricorrere al bunker antiatomico diventa, in quegli stessi anni, oltre che un business straordinario anche un’ancora di salvezza.
L’oggetto salvifico, però, trae ispirazione, più che da un poco auspicabile bombardamento atomico su scala mondiale, dal bisogno di respingere repentini attacchi di panico.
Una mente lucida avrebbe potuto facilmente leggere nella soluzione dell’isolamento blindato e persino forzato[3], una vera e propria sconfitta della ragione.
Una ragione che non si supera e non sa trovare un rimedio alle sciagure causate dalle proprie stesse innovazioni.
Dominati da (e con) la Paura
Nascondersi o alzare delle barriere tra sé e il pericolo, quando si tratta di minacce globali, è un po’ come coprirsi gli occhi con le mani pensando che alla nostra cecità corrisponda il dissolversi del problema.
Un comportamento istintivo e infantile che non dovrebbe essere acquisito e replicato o come la più brillante delle idee o peggio come l’unica soluzione possibile.
A rinforzare l’induzione di questi comportamenti imitativi, per altro privi di alcun fondamento, viene spesso agitata una comunicazione mirata a cavalcare l’onda della criticità puntuale.
Essere in balia delle emozioni negative induce ad abbassare i livelli logici e predispone il terreno all’eteronomia.
Per questa via si arriva a fidarsi ciecamente di qualunque soluzione che si autoproclami risolutiva delegando ad altri la gestione del nostro sentire.
Fino a convincersi che si possa estrarre il rimedio agendo sugli effetti piuttosto che adoperandosi nell’individuazione delle cause.
Quando ciò accade si avalla inconsciamente uno stato di paralisi mentale e sociale, nemiche di una esistenza illuminata e libera.
La Paura in Delega
La storia dell’umanità è costellata di tragici momenti, come quello sopra citato, in cui l’uomo si lascia dominare da sentimenti negativi.
Paure oggettive, amplificate dalla progettazione e dall’utilizzo di artefatti scudo, che si riflettono in altrettante paranoie e ossessioni: un circolo vizioso che porta inconsapevolmente il soggetto a difendersi da sé stesso.
Le tragedie non sono tutte riconducibili a errori umani.
Il dramma dei giorni nostri, ad esempio, l’epidemia comunemente riconosciuta come COVID19, è legato alla diffusione di una emergenza sanitaria.
Ai posteri il compito e la responsabilità di ricostituire l’ordine nuovo, a partire dalla lettura critica della realtà violata e dall’indagine onesta attorno alle sue cause.
Ciò che appare rilevante, ora, è il fatto che, anche in questa circostanza, la crisi sia stata agita e gestita più dal panico che dalla razionalità.
Hobbes e la sua antropologia della paura riecheggiano dal nuovo al vecchio continente sfidano le leggi della fisica: anziché affievolirsi nel loro movimento eccentrico producono un effetto di amplificazione.
Come se la storia, maestra di vita, non ci avesse insegnato nulla, continuiamo a farci dominare dalla paura.
Più Sicurezza Meno Libertà
Una società in balia di fobie generalizzate, come si è detto in apertura, muoverà le proprie azioni e produzioni sotto il segno della negatività.
L’ambiente circostante ne uscirà trasfigurato al pari di un palcoscenico nell’atto in cui l’opera si avvia ad un epilogo tragico.
Il mondo che fu teatro di ispirazione, si trasforma allora in contenitore di enti più o meno sensibili che incarnano altrettante minacce per la sopravvivenza della specie.
La focalizzazione esclusiva e puntuale del negativo distoglie lo sguardo dall’intero dell’esistenza, dai suoi principi, dai suoi valori, dai suoi fini.
Di volta in volta, il nuovo focus occupa tutta la scena esteriore mentre dall’interno un appello disperato non chiede altro che la protezione della materia e del corpo.
Un corpo che vuole strapparsi di dosso il sentire e non ha più la forza per invocare la spiritualità negata.
Un corpo perciò esistenzialmente morto perché sacrifica quella parte essenziale di sé che gli consente di essere pienamente umano: la libertà che si apre nella relazione.
Essere liberi significa scegliere se, come e quando relazionarsi:
- al proprio disagio;
- alle proprie fobie;
- al mondo;
- agli altri.
La relazione è anche il luogo di apertura della meraviglia, di intrecci e rivelazioni, di fucina delle idee e un tempo era considerato divino.
Laboratorio di futuro, spazio sacro che ora perde la sua forma, la sua ospitalità.
Questa disarmonia fa precipitare ogni consolidata regolarità percettiva cedendo il passo alla sfera emotiva.
I sensi, strappati alla loro funzionalità conoscitiva, sono così banditi ai modi della condivisione e del confronto e si ripiegano in movimenti di introspezione.
Per questa via l’unico rapporto possibile è quello del soggetto con la parte malata di sé.
Un rapporto estremo scaturito da un nuovo sentimento negativo:
la fobia di smarrirsi nelle anomalie di uno luogo contaminato e ostile, deformato e deformante, che non costituisce più l’occasione di un evento.
Astrazioni Geometriche
Lo spazio che invitava alla partecipazione si fa ora, prepotentemente, motivo di respingimento, chiusura e destabilizzazione.
L’introiezione di formule asettiche e difensive si riflette sulle norme comportamentali e sulle forme architettoniche.
Porte blindate, sistemi di vigilanza, linee impersonali sono i nuovi simboli che alludono alla disaggregazione sociale.
Oggi gli insediamenti urbani portano il marchio dell’angoscia spirituale dello spazio e si presentano in modelli privi di identità rispetto alla loro destinazione d’uso.
Irriconoscibili astrazioni geometriche che interferiscono con quella chiara immedesimazione che, pur nei diversi stili, ha caratterizzato nei secoli gli edifici della socializzazione.
La Chiesa, la Fabbrica, la Scuola, il Municipio, il Camposanto:
Più che strutture fisiche sono state da sempre simboli di eventi collettivi il cui volto, se riconoscibile, crea immediatamente radici, appartenenza, comunità.
Le nuove geometrie sono ispirate alle tentate soluzioni contenitive e riparatrici di paure generalizzate, quelle attivate dalle crisi della contemporaneità.
Luoghi Sicuri e Malattia dell’Anima
I nuovi profili urbani si dispiegano in linee futuristiche, disorientanti e separative, testimonianze del distanziamento e isolamento sociale che seguono alla rinuncia delle libertà.
Una rinuncia che soffoca l’ultimo respiro di quella esistenza in fusione con l’ambiente che solo una civiltà armoniosa e libera può perseguire.
Lo svilimento di autonomia e libertà, sradica la condivisione sociale del disagio e va sottraendo potenza al gesto catartico.
La paralisi del pensiero cancella le tracce del suo insorgere dagli occhi e dalla memoria di quello stesso soggetto che ha contribuito a produrla.
Il rimosso diventa così malattia dell’anima: un mistero privato dei suoi riferimenti storici e delle conseguenti vie d’accesso ad una ritualità purificatrice.
La Dimensione Fobica nell’Arte
Quando uomo e ambiente non si riconoscono l’un l’altro l’equilibrio si fa precario e una delle due parti si ammala trascinando inevitabilmente nel baratro anche l’altra.
Un ambiente che induce il soggetto a separarsi dal suo mondo, pur con l’intenzione di proteggerlo da esso, trascina con sé una inguaribile sofferenza.
Un disagio interiore dal quale non è possibile prendere le distanze e il cui insopportabile peso rende più facile cadere nell’illusione di poter continuare a vivere in una società atomizzata, pur di separarsene, piuttosto che cercare le cause che l’hanno prodotto.
Quando il gravare dell’angoscia non si placa, lo si proietta nell’ambiente esterno dal quale non farà che ricordarci puntualmente quanto è grande la nostra sofferenza.
Gli artisti contemporanei hanno tentato di esorcizzarla con la rappresentazione.
Una tela, una poesia, un’opera musicale, una tragedia: mirabili testimonianze e altrettanti tentativi di rimozione indotte dall’inutile sforzo di guarire la ferita.
L’arte che principia da questa malattia dell’anima non costituisce un evento purificatore, semmai luogo di ulteriore contaminazione.
Ciò che modella la forma è la cifra conflittuale della paura del sé e non l’evento contemplativo e relazionale.
È l’uomo che cerca qui di rappresentare un rapporto inesistente, o per lo meno viziato, perché soggetto e oggetto corrispondono.
E colui che rappresenta sé stesso non può superarsi nell’oltre.
Grammatiche della creatività
Le testimonianze di questa energia negativa, si fanno prodotti di espressione culturale e di difesa corrosivi di quello spazio misterioso entro il quale l’umanità ha gestito, con creatività e partecipazione, le sue paure e le sue fobie.
Ogni artefatto a riparo e difesa dalla paura in sé, piuttosto che dal suo oggetto, innalza un muro di confine, un recinto dove la libertà viene scambiata con vademecum comportamentali.
Una luce invasiva in quella preziosissima zona d’ombra che è la condizione di possibilità di scegliere e di creare.
Produrre modelli di separazione sociale significa annientare il luogo privilegiato di relazione tra uomo e uomo e tra uomo e ambiente.
Ovvero distruggere quel momento di conoscenza contemplativa e pre-razionale che un tempo doveva la sua sorgente alle figure simboliche del mito e del rito.
Le grammatiche della creatività discendono da queste figure, dai loro luoghi sacri e dalle pratiche a loro ispirate.
Esse hanno resistito fin dall’antichità proprio a difesa di un’apertura spazio-temporale dove l’uomo possa esperire a pieno sé stesso, lenire il dolore, rinascere.
Con il rito si delegava al religioso[4] il compito di prendersi cura e stemperare le incertezze, le paure, le fobie, l’ignoto.
Convivere con La Fobia
Oggi che la sofferenza spirituale non è più offerta al sacro e condivisa nella ritualità, il disagio interiore viene trasferito nello spazio esterno, in un susseguirsi di azioni trasformative estranianti.
Cosa possiamo fare qui e ora per ritrovare il beneficio e la cura dell’evento catartico?
Dove e come ricercare quell’arco spaziotemporale purificatore?
È ancora possibile incontrare il proprio disagio esistenziale e confrontarsi con esso?
A partire da quali modelli si possono plasmare nuove forme di armonia dalle quali agire le leve del progresso e della maturazione sociale?
La paura atavica, vissuta e condivisa, è la radice della creazione e di ogni produzione culturale ed artistica fondative di tradizioni e comunità.
Il tentativo di confinarla o esorcizzarla, prima di farne esperienza, equivale a tradurla in fobia.
Eliminarla dalla scena implica sottrarre terreno, fino all’esproprio, allo spazio esistenziale, misterioso e sacro, a lei dedicato.
Lo sforzo di separarsene, prima di condividerla, raccontarla e tradurla in storia la trasforma in movimenti di autoriflessione e fobie rivelatrici di un’anima asservita.
Autore: Annarosa Antonello
[1] Wilhelm Worringer, cit. in La deformazione dello spazio. Arte, architettura e disagio nella cultura moderna, di Antony Vidler, Edizioni Feltrinelli, Milano, 2009, pag. 12.
[2] Mentre nella filosofia aristotelica l’uomo è connaturato al bene e al buon governo della polis intesa come centro politico e sociale, secondo Hobbes la componente egoica e l’istinto di sopravvivenza inducono l’uomo al male, in un eterno stato di competizione e conflittualità.
[3] In alcuni paesi quali ad esempio la Svizzera, negli anni ’60, diventa obbligatoria per legge la costruzione di un bunker antiatomico ad uso familiare o condominiale; in alternativa viene applicato il pagamento di un contributo sostitutivo grazie al quale può essere garantito ad ogni singolo cittadino un rifugio in posto protetto.
[4] https://www.etimo.it/?term=religione&find=Cerca