La felicità, il cambiamento e il tempo che passa. Otto cose da fare da domani mattina per raggiungere la meta (o almeno provarci).
Qualche anno fa ebbi la fortuna di incontrare un famoso professore e di intrattenermi con lui al termine di un convegno sulle dinamiche comportamentali. Lo studio e l’analisi del comportamento umano in tutte le sue molteplici sfaccettature mi hanno da sempre affascinato. È ciò che mi aveva spinto fin dagli anni dell’Università, erano i mitici anni ’90, ad intraprendere il cammino professionale delle Risorse Umane. “La felicità non è un diritto”; “se anche non volessimo cambiare, il cambiamento stesso ci costringerà a farlo, perché inarrestabile”. Cito i due passi che più mi rimasero impressi nella mente di quella inusuale, quanto interessante conversazione. Furono per me assiomi illuminanti e destabilizzanti allo stesso tempo; il professore era riuscito a toccare delle corde per me ancora afone; ma andiamo con ordine.
Felicità e cambiamento: seguire il flusso (o no?)
Perché continuare a dannarci alla ricerca di una dimensione inarrivabile, alla ricerca di una mecca, quella della felicità, citata solo nelle riviste patinate, ma quasi impossibile da raggiungere nella quotidianità? Perché invece non passare attraverso un processo di accettazione, rasserenandoci e godendoci il tempo che scorre come davanti all’ultima serie di Netflix? Mi sembrava una soluzione perfetta. La migliore possibile. Accettare senza sforzo. Accogliere che le variabili potessero essere troppe o nelle mani di pochi (non le nostre) per non mettersi realmente in gioco.
Altro tema è quello del cambiamento. Tutti lo cerchiamo, tutti lo invochiamo. Ma troppo spesso ci piace solo quando tocca gli altri e non noi direttamente. Biologicamente siamo programmati a mantenere e proteggere il nostro cosiddetto equilibrio omeostatico; di conseguenza tutto ciò che possa ledere la nostra stabilità diventa fastidio. Peccato che non dipenda solo da noi. Il tempo accresce la nostra esperienza e la consapevolezza delle cose che non funzionano e che vorremo vedere diverse. Le rughe aggiungono espressione, ma nascondono le ferite, quelle invisibili e profonde che la vita ci impone.
Il giorno in cui il bartender di un locale poco frequentato comincerà a darti del lei, realizzerai che per quanto tu possa pensare di rimanere giovane per sempre, gli altri cominciano a vederti invecchiato. Fusioni, acquisizioni, cambi imprenditoriali ti obbligano a riscrivere le pagine delle tue giornate, come se il passato non avesse più significato. Cambiano il contenuto del tuo lavoro, le relazioni chiave a cui devi porre attenzione, gli ingranaggi del sistema che devi continuare ad oliare. Non puoi farci niente, il cambiamento è uno tsunami effettivamente inarrestabile.
La (dura) ricerca della felicità
Sono passati diversi anni dal giorno in cui incontrai il prof. X, così mi piace citarlo senza nomi e cognomi (chissà se anche lui si ricorda ancora di me) e, se sul tema del cambiamento la mia visione è rimasta fedele al suo pensiero, cioè che ognuno lo viva in maniera utilitaristica, cavalcandolo quando porta beneficio e rifiutandolo quando comporta sacrifici, per quanto riguarda la felicità non è così.
È vero, la felicità forse non è un diritto inalienabile, aprire una vertenza con chi sta sopra di noi per rivendicare quanto ancora non ricevuto negli anni potrebbe risultare inutile; ma perché demordere? Perché mollare? Perché non vederla come un’immensa e meravigliosa opportunità? No, no! Non voglio accettare di vivere il cadenzare dei giorni con la passività di un leone marino d’estate dopo aver allegramente pasteggiato a pesce azzurro, ci sarà pur altro nella vita! Non credete? Perché dovremmo abbandonare così, senza neanche provarci?
Come al lavoro così nella vita meritiamo un tentativo. Forse ne rimarremo più delusi, più pesti, ma senza rimpianti.
Quando si può pensare di essere veramente felici?
Provo a dare una risposta: “quando si ha la percezione di essere la persona giusta, al momento giusto, nel posto giusto, nella propria e ideale dimensione esistenziale e professionale”. All’interno del percorso del cammino che sentiamo essere il nostro, circondati dalle persone a cui teniamo, che amiamo o che stimiamo e ricevendo da loro apprezzamento, gratitudine e supporto. Il tutto rapportato alle risorse a cui possiamo avere reale accesso. Quando cioè il nostro scopo, l’obiettivo ed i valori in cui crediamo e per cui lottiamo, sono in armonia con il contesto, con l’ambiente che ci circonda. Questo vale anche e soprattutto per il lavoro. Facile no?
Otto passi per provarci (spoiler: non serve per forza uscire dalla zona di comfort)
Ma come arrivarci? Ecco a seguire una lista aperta con qualche consiglio pratico quotidiano:
- Annota tutto ciò che ti crea piacere, gratificazione che ti fa sentire in armonia con l’ambiente e le persone e prova ad applicare la tecnica dei 5 perché per esplorare le relazioni causa-effetto. Traccia un cammino.
- Al lavoro identifica tutte le fasi in cui vivi momenti up e down provando ad associarle a specifiche attività, routine operative, dimensioni. Ti servirà a lavorare sul punto 3) attraverso l’utilizzo e la costruzione di mappe mentali.
- Prova a immaginare e definire il lavoro dei tuoi sogni anche se non esiste: associa concetti, persone, luoghi, potrebbe essere utile per configurare un tuo domani che ancora non c’è.
- Quali sono i valori a cui fai riferimento? Rapportali a quelli del contesto lavorativo in cui operi oggi; puoi aiutarti utilizzando il test di Barrett gratuitamente https://www.valuescentre.com/tools-assessments/pva/. Ti sarà utile per armonizzarli tra loro.
- Fai una lista dei 100 micro e macro-obiettivi che vorresti raggiungere entro uno specifico periodo di tempo definendo le loro tappe di raggiungimento e loro fattibilità (qualche esempio: micro – dimagrire 5 chili prima della prossima vacanza; macro – aprire finalmente quel bar vista spiaggia a Rio De Janeiro).
- Chiediti se i limiti al loro raggiungimento sono reali o sono solo degli alibi per non metterti in gioco, lavora sul reframing (tecnica di ri-lettura dei fatti o delle convinzioni), fatti aiutare da amici e conoscenti, basta il tempo di un caffè.
- Valuta quali e quanti compromessi puoi accettare, rimanendo intransigente nei punti che ritieni vitali e che alimentano la tua reale dimensione; scrivi una lista: arriva almeno fino a 10.
- Taglia le relazioni e le attività nocive: quelle che non nutrono la tua autostima, la tua energia e che creano tossine. Fallo senza dubbi e senza esitazioni.
Non credo che essere felici significhi per forza trovare una dimensione al di fuori della propria zona di comfort, come molti citano, credo di più in un percorso di consapevolezza e di riconoscibilità nel tempo della propria linea d’onda. Non sempre la felicità deve passare dal disagio. Eviterei matrici redentive associate a questo processo. Credo di più nella focalizzazione e consapevolezza di noi stessi e di quello che ci circonda. Ricordo ancora quel calzolaio di paese, avrà avuto 70 anni, trascorse tutta la vita nella sua bottega a cucire scarpe rotte e borse sgualcite. Era felice, non ha dovuto viaggiare o penare per cercare qualcosa che già possedeva. L’amore degli altri, l’amore per se stesso, e quello per le cose che faceva già riempivano tutto il suo mondo.
Autore: Andrea Marchioro